Lo scorso anno mi sono trovato inaspettatamente in uno di quei luoghi dove si è fatto un piccolo pezzo di storia. E come succede spesso visitando questi luoghi, la visita lascia un segno.
Nel 1963, dalla scalinata del Lincoln Memorial (il monumento in onore di Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti), a Washington DC (USA), di fronte a 250.000 persone, un uomo pronunciava un discorso passato alla storia, e famoso in particolare per una frase, ripetuta più e più volte: I have a dream (Io ho un sogno).

Eccone un estratto:

Io ho un sogno, che un giorno questa nazione si leverà e vivrà fino in fondo il senso delle sue
convinzioni: Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che furono schiavi e
i figli di coloro che possedettero schiavi potranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho un sogno, che un giorno perfino lo Stato del Mississippi, uno Stato che ribolle di ingiustizia,
che ribolle di oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho un sogno, che i miei quattro bambini vivranno un giorno in una nazione nella quale non
saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere”.

L’oratore era Martin Luther King (MLK), un pastore protestante divenuto uno dei simboli della lotta per i diritti civili. MLK nasce nel sud degli Stati Uniti d’America, in Georgia, nel 1929. Il clima in cui nasce e cresce emerge con potenza dalle parole appena lette: la popolazione nera è fortemente discriminata e messa ai margini della società (ha cinque anni quando la madre dei suoi compagni bianchi proibisce loro di giocare con lui, perché nero), privata di quei diritti che sono ritenuti inalienabili per donne e uomini. Questo è causa di forti tensioni, che spesso sfociano in episodi violenti sia da parte dei bianchi, che da parte dei neri. MLK, che intraprende studi di giurisprudenza prima e di teologia e filosofia poi, è intenzionato a fare la sua parte per cambiare le cose. Ma ispirato dalla figura di Gandhi sceglie di seguire un altro approccio, quello della non-violenza. L’occasione per metterlo in pratica non tarda ad arrivare. A Montgomery (Alabama), dove MLK si è traferito con la famiglia ed è pastore in una chiesa battista, una donna nera di nome Rosa Parks viene arrestata per aver rifiutato di cedere il suo posto in autobus ad un bianco. A quell’epoca, il 1955, la legge prevedeva che le prime file degli autobus fossero riservate ai bianchi, quelle successive ai neri ma solo nel caso in cui non ci fossero bianchi in piedi. Nasce un movimento in difesa di Rosa e dei diritti dei neri e MLK viene eletto portavoce del movimento all’unanimità.
La proposta di azione è quella di boicottare il trasporto pubblico (usato in larghissima parte dai neri). L’esito iniziale è incerto, ma anche con l’aiuto di tassisti che praticano tariffe al costo di un biglietto dell’autobus e di autisti generosi il boicottaggio è un successo. Dura ben 382 giorni, durante i quali MLK viene arrestato più volte (con falsi pretesti, in realtà per aver trasportato passeggeri con la sua auto) e le intimidazioni nei sui confronti aumentano al punto che una sera mentre sua moglie e sua figlia sono in casa, una bomba viene scagliata attraverso una finestra, fortunatamente senza conseguenze per le due. Alla fine la perseveranza è premiata e il movimento ottiene l’abolizione della segregazione sui trasporti pubblici, ritenuta (ad unanimità) dalla Corte Suprema lesiva dei principi della Costituzione Americana. Nonostante questa importante vittoria, la strada è ancora lunga e in salita (a questa decisione seguono nuovi episodi di violenza da parte dei bianchi, anche nei confronti di amici di MLK). MLK prende parte negli anni successivi a manifestazioni di massa e marce, tra le quali quella per chiedere il pieno diritto di voto da parte dei neri. Viene arrestato molte volte e spesso è sul punto di cedere, teso tra la volontà e l’impazienza di un mondo dove i suoi figli possano crescere liberi e uguali ai coetanei bianchi e la necessità di non vedere quotidianamente minacciata la sua vita e quella dei propri cari. Trova nella fede la forza per continuare e il 28 agosto 1963 a Washington tiene il suo famoso discorso durante la marcia per il lavoro e per la libertà, al termine della quale viene ricevuto dal presidente Kennedy. Nel 1964, il suo impegno è riconosciuto ormai in tutto il mondo e gli viene assegnato il premio Nobel per la pace (il premio in denaro è da lui interamente devoluto al movimento per i diritti civili). Purtroppo, per molti che lo riconoscono e lo apprezzano, ce ne sono molti altri che lo temono e che cercano di ostacolarlo, al punto che il 4 aprile 1968 sul terrazzo della sua stanza d’albergo di Memphis MLK viene raggiunto da un proiettile di fucile e muore. Queste le parole registrate di un suo sermone, ascoltate durante il funerale:

Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale.
E se incaricherete qualcuno di pronunciare un’orazione
funebre, raccomandategli che non sia troppo
lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel,
perché non ha importanza… Dica che una voce gridò
nel deserto per la giustizia. Dica che ho tentato
di spendere la mia vita per vestire gl’ignudi, per nutrire
gli affamati, che ho tentato di amare e servire
l’umanità.

Biografie_2

La figura e la vita di MLK hanno ispirato in seguito molti uomini e donne comuni, attivisti per i diritti civili, politici e artisti (le canzoni “Pride-In the name of love” degli U2 e “One Vision” dei Queen sono dedicate a lui).

Francesco Barbariol