Strada, Comunità e Servizio costituiscono i tre elementi, complementari ed indissociabili del Metodo Rover e Scolte, cui si ispirano le concrete attività delle Branche. Essi derivano da una visione globale dell’uomo che è:

  • In cammino sulla sua Strada, esperienza di vita povera ed ascetica, di disponibilità al cambiamento, di impegno a costruire se stesso con pazienza e fatica;
  • In concreto atteggiamento di disponibilità all’incontro con gli altri, alla condivisione di gioie e sofferenze, di speranze e progetti;
  • Pronto al Servizio, che diviene modo normale di relazione con i fratelli, oggetto del suo amore.

Le comunità di Clan e di Fuoco vivono i loro momenti più intensi in cammino. Infatti, camminare a lungo sulla strada permette di conoscere, dominare e superare se stessi e dà il gusto all’avventura; portare a lungo lo zaino e dormire sotto la tenda insegnano l’essenzialità e il senso della propria precarietà; la Comunità è un mezzo educativo che aiuta i singoli componenti a scoprire e maturare la propria vocazione personale, a conoscere la realtà che li circonda e ad agire in essa. Ma è il Servizio la sintesi della proposta educativa e l’elemento unificante dei vari interessi, delle attese personali, delle attività e dei valori proposti. Ciò nasce dalla convinzione che una persona trova la sua completa dimensione nel fare il bene degli altri, ad imitazione di Gesù, che non è venuto nel mondo per essere servito, ma per servire. In quest’ambito abbiamo voluto fare una proposta ai nostri ragazzi e ragazze, quella di passare un sabato sera diverso, lontano dalle discoteche e dai pub.
A Milano dal 2002 è presente un servizio che si chiama Condivisione di Strada con cui si vuole animare la Comunità all’incontro con i “senza fissa dimora” e confrontare le varie esperienze presenti in alcune zone, per convergere verso un progetto comune di condivisione e di rimozione delle cause. Nei primi anni ottanta due membri della Comunità, Andrea e Antonio, scelsero di vivere per 8 mesi sulla strada, con i senza dimora e come i senza dimora. Questa esperienza portò alla scoperta di un mondo invisibile, un popolo di persone ai margini delle nostre città, a volte sotto le nostre case, alle quali non sono riconosciuti i diritti più elementari.
Una moltitudine variegata: “barboni”, extracomunitari, tossicodipendenti, prostitute, anziani: persone borderline accomunate non soltanto dalla mancanza di una dimora stabile, ma dalla privazione di un’identità ufficialmente riconosciuta, uno status civile e sociale, e soprattutto da una grande solitudine. Da allora, fedele al mandato “quando i poveri non vengono a cercarci, dobbiamo andare noi a cercarli”, la Comunità ha iniziato ad incontrarli nelle stazioni, sotto i ponti e ovunque essi si rifugiassero alla ricerca di un posto sicuro per la notte. Nel 1987 venne aperta a Rimini la prima “Capanna di Betlemme”, una realtà di pronta accoglienza serale e notturna, dove gli “invisibili” non trovano solo un tetto sulla testa e un letto dove dormire, ma soprattutto il calore della famiglia mai avuta, attraverso momenti importanti di condivisione – la cena, le chiacchiere insieme – che lentamente permettono di instaurare relazioni significative. Oggi chi arriva alla Capanna di Betlemme ha anche la possibilità di uscire dalla propria condizione attraverso la costruzione di progetti individualizzati di reinserimento sociale. Questo percorso si sviluppa nella misura in cui la persona ritrova il desiderio di condurre una vita dignitosa, la capacità di lottare contro le ingiustizie e il sostegno fraterno di persone che si fanno a lei “prossimo”. In diverse zone la Comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi ha aperto una “Capanna di Betlemme” e ha attivato unità di strada che ogni sera vanno ad incontrare i “poveri invisibili”. In determinati sabati, coordinati da Don Federico e dai suoi volontari, come abbiamo fatto noi sabato scorso, dopo un momento di preghiera nella Chiesa di San Carlo al Corso, in pieno centro a Milano, suddivisi in gruppi si va alla ricerca degli “invisibili”. E proprio questa parola descrive pienamente queste persone, perché ormai fanno parte dell’asfalto, dei muri e delle vetrine per tutti. Mentre chiacchieravamo con alcuni di loro offrendo del tè caldo e un po’ di panettone, c’era gente che usciva dai cinema e dai locali che passava accanto senza neanche considerarli. Per certi versi è sicuramente normale, umano anche perché ormai hanno fatto l’abitudine a quei quattro “ barbun” avvolti in una coperta di fortuna e sdraiati su due cartoni per isolarsi un po’ dal freddo.
Sabato 17 gennaio alle 23 sotto i portici dove ha sede il negozio, meta quotidiana di centinaia di ragazzini, e che all’ora di chiusura si popola di stuoini e sacchi a pelo neanche tanto gonfi, il termometro segnava 2 gradi sopra lo zero. Abdul mi diceva che tutto sommato quella sera non faceva così freddo, certo lui era abituato bene perché casa sua, a Tunisi, distava pochi chilometri dalle coste e il mare era bellissimo. Anche la temperatura era eccezionale, sicuramente migliore di quella che lo avvolgeva come una coperta gelata tutte le notti di questo inverno milanese. Abdul non ha detto la sua età, probabilmente sui sessanta, si trova in Italia da tantissimi anni e parla benissimo l’italiano, ci ha raccontato la sua versione sui recenti atti terroristici di Parigi, con grande competenza. Se avessi chiuso gli occhi poteva anche non essere uno sconosciuto senza tetto avvolto in un sacco a pelo in una fredda notte milanese, ma un commentatore con una leggerissimo accento tunisino intervistato da qualche network. Un po’ come Robert, polacco che parlava solo inglese, ci ha raccontato la sua storia di lavoratore normale in Polonia con moglie, figli, casa di proprietà e due macchine in garage.
Poi la separazione, la crisi al lavoro, il licenziamento e la decisione di girare l’Europa come “invisibile” alla ricerca di un impiego per poi ritornare ai suoi figli con un po’ di denaro. Per il momento è qui in Italia e spera che l’Expo gli dia la possibilità di fare ciò di cui è capace, il marmista.
Intanto si è prestato a raccontarci la sua storia, ma in tasca aveva una bottiglia di Vodka che avrebbe diviso con i suoi compagni “per tenersi caldi” durante la nottata.
Milano risponde all’emergenza freddo con tante associazioni; proprio mentre lasciavamo Robert arrivavano i City Angels riconoscibili dai loro giubbotti rossi con coperte e bevande calde. Il programma prevede di cercare di far accedere i senza tetto ai dormitori pubblici.
Ma molti di loro non ci vogliono andare “puzzano” ci hanno detto. L’emergenza freddo però non va considerata solo nei mesi invernali, e la vera emergenza è la necessità di togliere queste persone dalla cerchia degli invisibili, ricordando che anche esse godono come tutte le persone di una dignità. Stare sulla strada è mettersi in ascolto, sentire quello che le persone che sono costrette a vivere senza una dimora hanno da raccontarci, ma anche raccontare un po’ di noi stessi facendoli sentire importanti per le confidenze che gli facciamo, non si tratta di dare solo un panino, con un gesto meccanico, ma di darlo con un sorriso, che allevia la fame d’affetto di cui sono piene le strade.
Averlo fatto con ragazzi di sedici, diciott’anni, che hanno rinunciato alla loro serata di libertà per provare una esperienza così insolita è stato veramente bello, ricordando che se alle persone che abbiamo incontrato siamo riusciti a portare un po’ di serenità oltre a qualche bevanda calda, loro probabilmente ci hanno regalato qualcosa di ancora più importante, la consapevolezza che se lo vogliamo veramente nessuno è invisibile.

Clan e Fuoco del Gruppo Mortara 1

a cura di Giacomo Giovanelli