Il 21 Febbraio 2009, in coincidenza con le celebrazioni del Thinking Day / Giornata del Ricordo, ha avuto luogo un incontro Scout interassociativo con le ultime Aquile Randagie viventi al Cinema – Teatro Perla di Bologna tra cui Mario Isella (Bufalo), tornato alla casa del Padre la sera del 1 gennaio 2014, e don Giovanni Barbareschi di cui riportiamo parte dell’intervento:

Sono Don Giovanni Barbareschi, un prete della diocesi di Milano. Ho 87 anni. Sono un’Aquila Randagia.

“Non mi sento ben qualificato quando mi chiedono se sono un prete scout. Preferisco rispondere che sono uno scout diventato prete. Credo di essere stato l’ultima Aquila Randagia che ha fatto la sua promessa il 27 dicembre 1943 nelle mani del suo capo Giulio Uccellini. La mia famiglia era povera ed eravamo quattro figli. Mio padre non è mai stato iscritto al Partito Fascista e per questo ha avuto notevoli difficoltà nel suo lavoro. Io, balilla di 12-14 anni, ero tutto orgoglioso quando alla domenica tornavo dall’ adunata e raccontavo a mio padre che ci avevano portato a Messa, inquadrati, e che anche durante la liturgia avevamo tenuto in testa il nostro fez e alla consacrazione eravamo scattati sull’attenti al suono della tromba. Mio padre commentava:
“Quella Messa non vale niente, perché non eravate liberi di partecipare”.
Tormentata la mia adolescenza e la mia prima giovinezza: è stata tutta un’avventura alla ricerca della verità e della libertà. Riflettendo mi sono accorto che non cercavo la verità, volevo conquistarla, possederla, farla mia, volevo che fosse la conclusione di un mio ragionamento. Cercavo l’evidenza… e invece la verità è e sarà sempre mistero. L’evidenza rimarrà sempre alla superficie della verità.
Più tardi mi sono incontrato con quella frase di San Paolo nella lettera ai Galati: “In libertate vocati estis”, ogni uomo è chiamato a realizzare la sua libertà. Mi sono innamorato della libertà: è stata la parola di Dio a me, il volto che Dio mi ha rivelato.
Mi sono convinto che la distinzione tra uomini atei e uomini credenti è una distinzione culturale. La terminologia più universale e umana è quella che troviamo nella Bibbia: uomo schiavo o uomo libero.

Ho raggiunto la certezza che il primo atto di fede che l’essere umano deve compiere non è in Dio, ma è nella sua libertà, nella sua capacità di diventare una persona libera. Ho detto atto di fede, perchè la libertà della persona umana non si può dimostrare. Ho incontrato innumerevoli condizionamenti: quelli di un patrimonio genetico, di un ambiente, di una cultura, di un’educazione ricevuta, di una religione imposta. Tutto questo è vero: la mia libertà è una piccola isola in un oceano di condizionamenti, ma io – e con me ogni uomo – posso nascere come persona libera solo in quella piccola isola.
Quando mi sono venuto a trovare in una situazione storica in cui la libertà veniva negata, le persone venivano imprigionate e perseguitate per la loro appartenenza a una razza o per le loro idee, è stato logico per me mettermi dalla parte di coloro che difendevano la libertà, la libertà mia, la libertà di ogni uomo. Per descrivere quel periodo storico il Card. Schuster, in un documento del 6 luglio 1944, documento che non ottenne il permesso di essere pubblicato, scriveva così: “…una lotta fratricida, con vittime innocenti, una lotta fatta di odio, di livore umano, una vera caccia all’uomo, con metodi così crudeli che farebbero disonore alle belve della foresta”.
Continua ancora il Cardinale: “…ogni ufficiale che presiede a una squadra di una cinquantina di uomini si crede autorizzato ad assaltare villaggi, a incendiare cascinali, a tradurre in prigione, a torturare, a fucilare…”
A questa situazione, con alcuni amici come don Andrea Ghetti, don Enrico Bigatti, Giulio Uccellini (capo delle Aquile Randagie) ci siamo ribellati ed nato l’OSCAR (Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati). In un secondo tempo alla parola “Scoutistica” abbiamo ritenuto opportuno, perché meno compromettente, sostituire la parola “Soccorso”. In una prima fase ci siamo preoccupati di salvare militari italiani che non volevano aderire alla Repubblica di Salò, e militari inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento. In una seconda fase ci siamo preoccupati di salvare ebrei ricercati SOLO PERCHÉ EBREI. Salvare comprendeva il procurare loro documenti falsi e aiutare la loro fuga in territorio svizzero. Quante le persone che abbiamo aiutato? Quanti gli espatri clandestini che abbiamo favorito e portato a termine? Certamente non tenevamo registrazioni, era troppo pericoloso.
Chi ha tentato di quantificare ha scritto che il nostro gruppo ha prodotto circa 3.000 documenti falsi e ha portato a termine circa 2.000 espatri.

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Questo era il nostro modo di osservare la nostra legge: aiutare il prossimo in ogni circostanza. Tra i tanti vorrei segnalare un caso solo, quello di Giulio Uccelllini che ha rischiato la sua vita per strappare dall’ospedale di Varese un bambino ebreo destinato alla deportazione.
Ci siamo anche preoccupati di diffondere alcune idee ed è per questo che ho personalmente fatto parte di quella che potrei chiamare la redazione del giornale clandestino “Il Ribelle”.
Tra il 1944 e il 1945 furono 26 i numeri del nostro giornale. La tiratura però di ogni numero era di 15.000 copie. Al giornale furono affiancati i Quaderni del Ribelle (11 numeri e ogni numero 10.000 copie ).
Nel giornale e nei quaderni affermavamo i principi cardine della società che sognavamo di ricostruire. Per stampare e diffondere quel misero foglio che pretendeva di essere un giornale, più di uno di noi è finito in carcere, in concentramento, più di uno non è tornato… e lo sapevamo di giocare con la morte.
La redazione era composta di 6 persone: 4 sono morte in campo di concentramento o fucilate. L’OSCAR si è molto adoperato nella distribuzione del nostro giornale clandestino. Abbiamo scritto sul nostro giornale: “Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano”. Nella prima pagina avevamo stampato la frase di Giuseppe Mazzini: “Più della servitù temo la libertà recata in dono”. Abbiamo anche scritto: “L’uomo nuovo non lo fanno le istituzioni, né le leggi, ma un lavoro interiore, uno sforzo costante su se stesso che non può essere sostituito da surrogati di nessun genere: Noi influiremo sul mondo più per quello che siamo che per quello che diciamo o facciamo”.
Se voi mi chiedete se la nuova società che allora sognavamo è quella di oggi, rispondo chiaramente di no. Sembra oggi che fare politica sia prevalentemente nell’interesse personale, dei propri amici, e non nell’interesse del bene comune.
Oggi è assordante il silenzio dei quadri dirigenti del mondo cattolico. Al modo attuale di intendere e di fare politica dobbiamo avere il coraggio di ribellarci. Mi sembra fondamentale una domanda: ci siamo liberati o piuttosto abbiamo abbattuto un faraone e abbiamo assistito alla comparsa di altri faraoni?
Perché il fascismo non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera.
Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché è verità, ma è falsata. ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o del proprio partito.
È una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un adesione psicologica, fanatica. A fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie.
Continuando il discorso delle Beatitudini non avrei paura ad affermare: “Beato colui che sa resistere, anche se il resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma siamo coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che ugualmente tende a toglierti la libertà”.

Questo invito a una resistenza è rivolto a voi giovani, è rivolto a ogni uomo che crede possibile e vuole diventare un uomo libero, senza trovare nelle difficili situazioni esterne il rifugio o la scusa alla propria pigrizia. Termino questa mia testimonianza con le parole della nostra preghiera, la preghiera di noi, ribelli per amore: “Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.
Alla domanda “come avete potuto amare i vostri nemici?” Don Giovanni ha risposto raccontando che finita la guerra ha smesso di aiutare i partigiani e si è messo ad aiutare i fascisti, semplicemente perché aveva promesso di aiutare il prossimo in ogni circostanza, punto.
Bufalo (Mario Isella) ha ricordato uscite, campi, imprese con un entusiasmo che ha del miracoloso. Negli anni del Fascismo, infatti si rischiava di essere ammazzati se si portavano avanti i valori dello Scoutismo. Alla domanda: “Perché lo avete fatto?”
Mario Isella ha risposto: “Perché era giusto così, perché avevamo promesso” 

“Quando penso ai miei nipoti sento freddo… ciascuno deve sapere cosa vuole da se stesso e dove vuole arrivare”. 

“Lo scoutismo vale se lo si vive e se si continua a mantenere fede alla “Promessa” e alla sua Legge. È di voi Capi fare sì che la cerimonia della Promessa non sia un semplice e qualsiasi atto, ma un vero punto di partenza per “lasciare il mondo un poco meglio di come lo abbiamo trovato”.

Versione completa della giornata: http://scout.zona-m.net

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Aline Cantono di Ceva – Commissaria Nazionale Scolte