Compassione

dal latino:

[cum] insieme

[patior] soffro

Nei secoli, la parola compassione prende forma sul concetto di pietà – una pietà che è quasi disprezzo. Eppure il significato originale è tanto più nobile! La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell’altro. Non un sentimento di pena che va dall’alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio, ma che se percorsa porta ad un’unità ben più profonda e pura, un amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio.

Oggi parliamo di cure compassionevoli un tema su cui si è molto dibattuto ma che si conosce poco.
Com’è noto, per molte malattie, specialmente quelle più rare, non ci sono ancora cure disponibili. In questi casi la legge – con il Decreto Ministeriale dell’8 maggio 2003 – consente il ricorso a farmaci sperimentali, ancora non validati dalla comunità scientifica e dal ministero della Salute, ma in fase avanzata di sperimentazione.
In Italia tali farmaci, comunemente noti con il termine di «cure compassionevoli», sono privi dell’autorizzazione all’immissione in commercio (cosiddetta A.I.C.) rilasciata dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e, una volta richiesti, devono essere somministrati esclusivamente a titolo gratuito.
Ciò consente ai pazienti senza altre opportunità terapeutiche valide l’uso di terapie che potrebbero apportare dei miglioramenti, fermo restando il rapporto rischio/beneficio a carico del paziente stesso.

Chiediamo ora  alla nostra amica Silvia, di parlarci un pò di lei e del suo lavoro…

Ciao sono Silvia e ho 30 anni, sono capo Fuoco nel gruppo Velletri 1 San Clemente da qualche anno (ho perso il conto…). Dal Novembre 2010 sono laureata in scienze infermieristiche. La scelta di fare questo lavoro è maturata qualche anno dopo il liceo e devo dire, per dovere di cronaca, che il mio cammino prima da Scolta e poi da Capo Fuoco è stato fondamentale nel capire e poi realizzare quello che è il mio lavoro oggi. Da circa tre anni lavoro anche con pazienti affetti da malattie genetiche rare, spesso neuro-degenerative progressive e anche con bambini affetti da queste malattie che a volte si manifestano ahimè in età pediatrica. Si tratta di persone che per la maggior parte del tempo ricevono  assistenza nelle proprie case.  Interviste

– Nella tua professione ti capita di somministrare questo tipo di farmaci?
No, si tratta di terapie che vengono somministrate prettamente nelle strutture in cui vengono sperimentati tali farmaci.
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– In base alla tua esperienza ritieni che queste terapie siano di aiuto ai pazienti?

Non ho un’esperienza diretta, tuttavia vivendo da vicino situazioni analoghe, penso che nessuno possa arrogarsi il diritto di negare la libertà di scegliere cure (ancorché sperimentali) che diano anche la minima speranza di un’aspettativa di vita migliore.

– Credo sia molto difficile partecipare alla sofferenza di altre persone, soprattutto se si tratta di bambini. Che cos’è per te la compassione e come si manifesta nella tua quotidianità?
Quando si tratta di bambini è ancora più difficile accettare la malattia, perché ogni bambino dovrebbe avere la possibilità di correre su un prato. La compassione per me è aiutare queste persone a migliorare la propria qualità di vita, cercando ogni giorno di tener fede nel migliore dei modi possibile al giuramento che ho fatto quando mi sono laureata.

– La tua professione ha cambiato la tua vita? Come?

Più che la vita, questa professione ha cambiato la mia visione delle cose: ho sicuramente imparato ad apprezzare di più ciò che ho. Cerco di dare più importanza ad ogni singolo giorno e di ricordare quanto non sia poi così scontata la vita che Dio ci ha donato.Interviste_4

Che consigli ti senti di dare ai ragazzi/e che ci stanno leggendo e che magari stanno pensando di intraprendere la tua stessa professione o che magari stanno già frequendando scienze infermieristiche?

– Non mi sento così saggia da poter dare dei consigli, comunque quello che posso dire è di seguire sempre i propri sogni e di portare avanti ciò in cui si crede, nonostante tutte le difficoltà che si possono incontrare soprattutto oggi nel mondo lavorativo. Penso che questo, come tutti gli altri lavori se fatti con passione e dedizione ci possono rendere delle persone migliori.


Vi saluto con una frase di Florence Nightingale che è stata un’infermiera britannica considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. E’ una frase che mi ha accompagnato sempre soprattutto durante l’università e nei momenti di sconforto, spero possa essere utile anche a voi!

“L’ assistenza è un’arte, e se deve essere realizzata come un’arte richiede una devozione totale ed una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello Spirito di Dio. E’ una delle Belle Arti. Anzi la più bella delle Arti Belle.”

Florence Nightingale

Bianca Marinelli – Nicoletta De Faveri