Pensionato, di 71 anni, perito elettrotecnico, ho lavorato dal 1961 in cantieri di grosse opere pubbliche e in seguito al disastro del Vajont nelle centrali idroelettri

 

che

dell’ENEL. Ho fatto il servizio militare nel Corpo degli Alpini. Mi sono sposato a 29 anni con una donna del paese, insegnante, che ora, più che allora, ritengo una persona meravigliosa, che sta convivendo con una grave invalidità per malattia. Abbiamo avuto 5 figli, doni meravigliosi a cui dobbiamo tanta riconoscenza. L’incidente occorso a Marco nel 1990 ha contribuito a rendere molto stretti i legami tra di loro, che sanno sostenersi a vicenda. Ovviamente non mancano le preoccupazioni quotidiane, come avviene per tutti, ma col passar degli anni e dopo le esperienze
vissute ritengo doveroso affermare a tutti che la Provvidenza Divina ACCOMPAGNA le creature nel loro percorso di vita.

2013.A.SPERANZA.BRATTI.02

 

Lettera pubblicata da Luciano nel 2010 su Avvenire

A «scuola» da Marco:
immobile nel letto è riuscito a cambiarci.
Convivo da venti anni con un figlio in stato vegetativo, in seguito ad un incidente stradale, e con una moglie che qualche anno dopo è stata colpita da una malattia grave, la sclerosi laterale primaria (non è la Sia, ma porta ad altrettanto gravi menomazioni in tempi più lunghi). In una delle
storie raccontate da Avvenire una mamma si esprimeva nei confronti del familiare che accudiva definendolo un «angelo». Anch’io dico lo stesso di mio figlio, 

aggiungendo, come cristiano, che ce l’ha mandato Dio: con gli anni mi pare di capire che non è un angelo passivo, solo perché sopporta il peso dell’infermità no

n chiedendo nulla, ma un angelo attivo, compartecipe della vita di famiglia e della società.

Cerco di spiegarmi: da vent’anni ci sono persone – assistenti sanitari, scout, giovani e adulti – che in vari modi lo aiutano e ci aiutano per la toilette, la ginnastica, la stimolazione, il passeggio.
Ebbene queste persone ricevono da Marco un’educazione a diventare più mature, un aiuto nelle difficoltà della vita, anche il dono di una serenità d’animo. I giovani che sono cresciuti con lui ora hanno famiglie solide e impegnate nel sociale. Questo mi conferma che la sua non è una vita inutile, anzi! Vivere con lui mi ha aperto il cuore: porto ancora i miei difetti di indole e di natura, ma riesco a vedere anche un po’ più in là i bisogni degli altri. Ovviamente soffro: anche se il tempo è un buon medico, il mio vivere non è facile «insulto», come viene chiamato in medicina,
che ha subito Marco lo abbiamo subito anche noi familiari. Il dolore nel guardarlo e nel pensarlo non si spegne mai. Però vivo serenamente, fiducioso nella provvidenza di Dio, che custodisce le sue creature.
Non ci siamo mai posti una scelta per la cura di Marco, dopo quasi un anno di ospedali, ce l’hanno restituito e non abbiamo mai cercato di mandarlo altrove. Penso che chi è costretto a fare una scelta diversa da noi debba soffrire ancor di più e pertanto va rispettato allo stesso modo che andiamo rispettati noi che teniamo in casa un disabile.
La nostra scelta è stata spontanea, probabilmente per la fede che abbiamo ricevuto e perché non siamo mai stati lasciati soli: tanti ci hanno dimostrato solidarietà, nei modi più svariati; immagino che quando famiglie che subiscono grossi traumi hanno il conforto della solidarietà, non crollano. Questo dovrebbe essere u

n messaggio da far avere a chi si occupa di informazione, oltre a rimarcare che le persone handicappate sono una ricchezza per la società, per il loro valore educativo. Senza il dolore il mondo sarebbe ancora più cattivo. Abbiamo visto cosa ha prodotto il culto della razza, dell’eccellere sopra gli altri, del valorizzare solo chi è più forte.
Luciano Bratti

Che cosa significa per te la parola SPERANZA?
SPERANZA significa per me quel sentimento che infonde benessere nel vivere quotidiano, prodotto dall’ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA insito in ogni uomo. La speranza rende più facile la vita stessa, perché induce ad interpretare le esperienze personali e gli avvenimenti esterni cercando e scoprendo in essi dei traguardi positivi. SPERANZA è anche IL VIVERE IN UNO STATO DI ATTESA, attesa che venga a cessare il male dalla propria e dall’altrui vita (nella certezza che si avvereranno le promesse del Signore).

In cosa o in chi è riposta?
Per un cristiano la speranza è riposta in Dio: è la Sua Provvidenza – o la Sua Misericordia – che si cura di ogni creatura per il fine di renderla felice.

È un qualcosa che si ha dentro da sempre o va alimentata?
La speranza, a 70 anni, credo di averla sempre avuta, magari inconsciamente, derivata dalla mia natura e dalle prime esperienze di vita di fanciullo,
cresciuto in un ambiente religioso e praticante. Più che il catechismo appreso alla scuola credo abbiano influito l’esempio dei genitori e delle altre
persone frequentate e le preghiere di tanta buona gente. La Speranza va senza dubbio alimentata, credendoci anche quando quanto avviene intorno
sembra assolutamente negativo: ciò è possibile solo se c’è una fede religiosa a sostenerla, fede che va alimentata da un rapporto permanente con Dio.

C’è stato un momento della tua vita in cui credevi di averla perduta?
Non mi pare, se si esclude un periodo dell’adolescenza e della giovinezza, in cui l’inquietudine propria del momento e il desiderio di
vivere in modo personale e autonomo provocano instabilità di umore. (In quel periodo non ricercavo né fede né speranza per alimentare il futuro, vivendo
“alla giornata”).

Marco è stato per te fonte di speranza? Se sì, come?
L’incidente di Marco con la prognosi negativa fin dall’inizio non mi ha gettato nella disperazione. Dapprima perché mi ero testardamente convinto che
sarebbe guarito. Dopo un paio di anni dall’evento mi dovetti arrendere al parere dei medici, ma intanto mi ero andato convincendo che quanto di
negativo avviene il Signore lo piega verso un fine positivo. Un religioso mi disse, appena successo l’incidente: “ Quanto è accaduto a Marco il
Signore lo ha permesso per il bene suo e tuo”. In seguito ho spesso pensato che sarebbe stato assai peggio che Marco fosse diventato un disadattato, o drogato, o malfattore.
Oltreché considerarlo un dovere di genitore, assumere le sue cure è diventata anche fonte di speranza per il fine ultimo della mia vita, perché mi ha esercitato nella carità. La sua cura ha implicato la partecipazione ai pellegrinaggi a Lourdes, ben 18 volte con i treni dei malati organizzati dall’Unitalsi, ove è forte l’esperienza di fede e del vivere nella speranza, insieme a una moltitudine di bisognosi.
Grazie a queste esperienze mi sono convinto che la Madonna si rivolge ai suoi devoti con tanto garbo e riconoscenza: è una cosa difficile da spiegare, ma che fa assaporare un rapporto assolutamente piacevole (e alimentare la speranza per un mondo migliore).

Trovi che fede e speranza abbiano un legame tra di loro?
Più che un legame, mi pare che solo coesistendo possano esistere entrambe: infatti la fede alimenta la speranza, ma senza speranza la fede non ha senso,
sarebbe una fede assurda.

A chi reputa la speranza un sentimento inutile e illusorio cosa consiglieresti?
È assai superficiale sostenere che la speranza sia un sentimento INUTILE, perché tutti possono verificare che chi ha speranza si pone obbiettivi positivi e in definitiva vive meglio. È più difficile sostenere che non sia un sentimento ILLUSORIO, perché i fatti analizzati secondo una visione esclusivamente materiale danno ragione a coloro che si dicono “realisti”. Il cristiano crede nella “Buona Novella” che sta sulla parola e sulle promesse di Gesù.

Nicoletta De Faveri